Al dilagante problema dei furti dei motori fuoribordo abbiamo dedicato in passato diversi articoli-inchiesta sulla Rivista Il Gommone (se volete leggere l’articolo completo pubblicato sul fascicolo di gennaio/febbraio 2011 – n. 295 potete richiedere il PDF cliccando qui).
A dire il vero siamo stati i primi, nel gennaio del 2011, a sollevare la questione, mettendo «nero su bianco» un fenomeno che non si poteva più definire solo «occasionale».
Da allora centinaia di rivenditori e rimessaggi sono stati «visitati» dai ladri e solo in pochissime occasioni le Forze dell’Ordine sono riuscite e recuperare la refurtiva.
I fuoribordo nella maggior parte dei casi prendono la strada dell’Europa Orientale e, più recentemente, anche del nord Africa (Tunisia e Libia su tutti). Lo dimostra il crollo delle vendite (legali) di motori marini in Paesi come Romania, Ungheria, Bulgaria, Malta, Serbia, Montenegro.
E visti i flussi sempre più consistenti verso questi Paesi (alcuni perfino membri dell’Unione Europea) bisogna ammettere che ormai siamo di fronte a bande ben organizzate e «competenti», al punto da essere in grado di effettuare il «distacco» del motore da uno specchio di poppa con una perizia che solo i meccanici più navigati hanno.
Dove andremo, quindi, a finire se non si metterà un freno a questa «mattanza»? Per cominciare ci vorrebbero dei controlli più rigorosi alle frontiere, perché cinque/dieci motori da 200 cavalli non si possono certo nascondere sotto al tappetino del bagagliaio!
E poi, forse, dovrebbero fare uno sforzo in più anche i costruttori dei motori. La targhetta applicata sul cavalletto (in cui è indicato anche il numero di matricola) si asporta con un giravite e si può facilmente sostituire.
Per i documenti, ammesso che negli Stati in cui vanno a finire vengano richiesti durante un controllo di polizia, la cosa è ancora più semplice.
Noi avevamo proposto di fustellare sulla calandra o sul piede il numero di matricola per rendere più onerosa la sostituzione e più facilmente leggibile dalle Forze dell’Ordine. Ma, fino ad oggi, i costruttori hanno fatto «orecchio da mercanti».
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