Quando nel 2000 venne ritirata dal commercio la benzina «super» si diffuse tra gli utenti un certo allarmismo tra i possessori di vecchi fuoribordo 2T per i possibili danni per i delicati organi interni, fino ad allora «nutriti» con una congrua quantità di piombo tetraetile, con funzioni lubrificanti e antidetonanti.
Ma abbiamo realmente qualcosa da temere per i nostri amati «frullini»? Si e no. Premettiamo innanzitutto che quanto segue si applica solo ai fuoribordo costruiti fino alla metà degli Anni ’80. A partire dal 1986, infatti, la «verde» è entrata in regolare distribuzione in molti Stati americani ed europei e i produttori si sono subito adeguati, rendendo i loro motori compatibili con il nuovo carburante.
La prima e più significativa differenza tra benzina «rossa» e verde» sta nella capacità antidetonante. La combustione della miscela nei motori a ciclo Otto serve a ottenere una spinta sul pistone dal riscaldamento dell’aria comburente che, come tutti i gas, tende a salire di pressione con la temperatura in modo tanto più marcato quanto più piccolo è lo spazio in cui viene rinchiusa. Di qui la convenienza a utilizzare nei motori rapporti di compressione il più possibile elevati.
La combustione avviene gradualmente, a partire dal punto di innesco, e si propaga in un certo lasso di tempo, relativamente lungo (se rapportato agli oltre cento scoppi al secondo che si verificano al massimo regime). Questo permette di controllare, anticipando o ritardando opportunamente l’istante in cui scocca la scintilla, che l’aumento di pressione diventi sensibile solo dopo il PMS (Punto Morto Superiore), in modo da non ostacolare o «frenare» in alcun modo la corsa di salita del pistone.
Oltre un certo valore di pressione e temperatura, però, si può avere un’accensione spontanea del combustibile (detonazione) che si propaga violentemente nell’intera camera di combustione generando un’onda d’urto di pressione e calore in grado di danneggiare le superfici metalliche di testata e pistone, che assumono un caratteristico aspetto «martellato».
La capacità di una benzina di resistere a questo fenomeno si misura con il numero di ottano. La «verde» attuale ha un numero di ottano nominale di 95, laddove la vecchia «rossa» dichiarava 98 ottani. E’ percettibile questa differenza? Di solito no.
I fuoribordo, per indole e destinazione d’uso, sono considerati propulsori poco «tirati», con rapporti di compressione mediamente bassi (tranne alcune eccezioni) e quindi poco soggetti al pericolo di detonazione. Esistono però alcune eccezioni.
Le vecchie unità con pistoni a deflettore, per esempio, che presentano camere di scoppio ampie e di forma irregolare, possono manifestare la tendenza alla detonazione dopo lunghi periodi di servizio, quando il cielo del pistone e la testata si ricoprono di uno spesso strato di residui carboniosi che riduce le dimensioni della camera di scoppio e ostacola la dissipazione di calore. Una periodica pulizia interna e l’uso di olio specifico per fuoribordo di buona qualità, di solito, è sufficiente a risolvere il problema.
A volte può essere utile utilizzare le benzine «ad alte prestazioni» proposte da alcuni marchi – non sempre reperibili però in banchina – soluzione che noi però non caldeggiamo, sia per il maggiore costo, sia perché la differente formulazione chimica le rende spesso più tossiche per inalazione, e su una barca è molto difficile sottrarsi all’invadenza dei loro vapori. In alternativa ci sono gli additivi, che tuttavia presentano più o meno gli stessi vantaggi e svantaggi.
Come soluzione alternativa, nella maggior parte dei casi, è sufficiente ridurre un po’ il rapporto di compressione, arretrando leggermente la candela, spessorando la base di appoggio. Riducendone la sporgenza all’interno della camera di scoppio, si libera prezioso volume per l’espansione dei gas, abbassando il rapporto di compressione.
Esistono in commercio kit specifici per i vari modelli, composti da rondelle «calibrate», che però non sono particolarmente economici. Lo stesso risultato si può raggiungere, in modo assai meno costoso, con il metodo che pubblichiamo nell’articolo pubblicato sul fascicolo di gennaio/febbraio 2015 – n. 335 (se volete richiedere il PDF dell’articolo cliccate qui).